Dedicava le canzoni ai boss in carcere: nei guai il neo melodico Niko Pandetta

Dedicava le canzoni ai boss in carcere: nei guai il neo melodico Niko Pandetta.
 
Era solito aprire i suoi concerti dedicandoli “a chi purtroppo sta al 41-bis”, parole che, nel tempo, gli sono costate roventi polemiche. Il suo affetto verso i boss lo aveva ripetuto anche durante un’intervista tv nel 2019 e oggi il suo nome spunta nell’indagine dei carabinieri che ha portato al fermo di 20 tra capimafia e gregari della cosca palermitana del Borgo Vecchio. Niko Pandetta, celebre neomelodico palermitano, era amico del boss Jari Ingarao, che incontrava nonostante fosse ai domiciliari. Ingarao, oggi finito in cella, aveva incaricato alcuni uomini d’onore di invitare i commercianti del rione a sponsorizzarne un concerto. Parte dei ricavi dovevano andare nelle casse del clan. Ma l’esibizione non si tenne perche’ dopo le parole dette in tv al cantante fu vietato di esibirsi. “Gli ho detto io a lui: fatti un tatuaggio e ti scrivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si risolvono i problemi”, consigliava a Pandetta uno dei mafiosi intercettati. Una ricetta che gli avrebbe consentito di superare le difficolta’ legate alle sue discusse esternazioni sulla mafia.
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Nel blitz contro la famiglia mafiosa di Palermo Borgo Vecchio venti i fermati dai carabinieri del comando provinciale. All’alba e’ scattata l’operazione “Resilienza” con l’esecuzione del fermo di indiziato di delitto, disposto dalla procura. Individuato il nuovo reggente, Angelo Monti, protagonista della riorganizzazione del clan colpito nel novembre 2017 e rimessosi in piedi. Contestati i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, danneggiamento seguito da incendio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento aggravato, furto aggravato e ricettazione.
Decisiva la collaborazione delle vittime del racket che hanno denunciato gran parte delle estorsioni. L’indagine, coordinata da un gruppo di sostituti diretti dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, costituisce un’ulteriore fase di della manovra condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, che ha consentito di dimostrare la vitalita’ della cosca nonostante il colpo inflitto nel novembre 2017. Il nuovo reggete Angelo Monti ha riorganizzato gli assetti del clan, affidando posizioni direttive ai suoi uomini di fiducia, individuati nel fratello Girolamo, Giuseppe Gambino, che aveva il compito di tenuta e di gestione della cassa della famiglia, di controllo dell’andamento delle attivita’ illecite e di filtro tra lo stesso Angelo Monti e il gruppo operativo; Salvatore Guarino, gia’ condannato in via definitiva, si avvaleva di Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto per organizzare e commettere le estorsioni nei confronti dei commercianti e degli imprenditori operanti nella zona di riferimento; Jari Massimiliano Ingarao (nipote di Angelo Monti) che ricopriva il ruolo di referente, per conto dell’organizzazione mafiosa, nel settore del traffico di sostanze stupefacenti.
Per tale scopo Jari Ingarao era supportato dai fratelli Gabriele e Danilo. Ricostruiti l’intero organigramma della famiglia mafiosa e le attivita’ di controllo del territorio e di ricerca del consenso sociale; di ‘assistenza economica’ verso le famiglie degli affiliati detenuti e dei diversi metodi di finanziamento (estorsioni, traffico di droga e reati contro il patrimonio). Documentate le infiltrazioni nel tessuto economico del territorio, le ingerenze nel mondo del tifo organizzato del calcio palermitano, esercitate attraverso il controllo di cosa nostra dei gruppi ultras locali. Le indagini, sottolineano gli investigatori, restituiscono uno spaccato caratterizzato dal capillare controllo del territorio da parte dell’organizzazione mafiosa, anche attraverso la continua ricerca del consenso verso un’ampia fascia della popolazione: “I mafiosi, infatti, continuano a rivendicare, con resilienza, una specifica funzione sociale, attraverso l’imposizione delle proprie decisioni per la risoluzione delle piu’ diverse problematiche: dai litigi familiari per motivi sentimentali alle occupazioni abusive di case popolari o agli sfratti per mancati pagamenti di affitti al proprietario di casa”. Pesante, ad esempio, l’ingerenza nell’organizzazione delle celebrazioni in onore della patrona del quartiere, Madre Sant’Anna, del 21-28 luglio 2019. Le serate, animate da alcuni cantanti neomelodici, venivano organizzate da un comitato che, di fatto, era controllato da Cosa nostra.
I mafiosi, infatti, sceglievano e ingaggiavano i cantanti e, attraverso le cosiddette ‘riffe’ settimanali, raccoglievano le somme di denaro tra i commercianti del quartiere. Tali somme venivano impiegate, oltre che per l’organizzazione della festa e l’ingaggio dei cantanti, anche per rimpinguare la cassa della famiglia mafiosa ed essere, in tal modo, utilizzate per il sostentamento dei carcerati e per la gestione di ulteriori traffici illeciti. Gli attuali esponenti di vertice della famiglia mafiosa, avendo il pieno controllo del comitato organizzatore della festa patronale, decidevano quali cantanti neomelodici dovessero partecipare alla manifestazione, provvedevano al loro ingaggio mediante il denaro ricavato dalle estorsioni, dalle riffe e dalle sponsorizzazioni dei gestori-titolari delle attivita’ commerciali ubicate sul territorio, autorizzavano i commercianti ambulanti a vendere i loro prodotti durante la festa, disciplinando anche la loro collocazione lungo le strade del rione. Non e’ tutto. I capi gravitavano anche sullo stato Renzo Barbera, benche’ questa ricada nel territorio di confine fra i mandamenti mafiosi cittadini di Resuttana e San Lorenzo-Tommaso Natale.
Forte l’interesse affinche’ i contrasti fra gruppi ultras organizzati del Palermo fossero regolati secondo le loro direttive, evitando scontri fra ultras all’interno della struttura sportiva, ritenuti da un lato dannosi per lo svolgimento delle competizioni e dall’altro fonte di possibili difficolta’ per uno storico capo ultra’ rosanero, elemento di contatto fra Cosa nostra e il variegato mondo del tifo organizzato cittadino. Una presenta asfissiante nel territorio, dunque. Per questo appare significativa la ribellione al pizzo: su un totale di 22 episodi specifici, ben 13 casi sono stati scoperti grazie alle denunce autonome degli operatori economici, mentre ulteriori 5 episodi sono stati ricostruiti autonomamente grazie alle indagini, ma poi confermati pienamente dalle vittime. Fonte di guadagni anche traffico di sostanze stupefacenti.
Angelo Monti aveva delegato l’intero settore criminale al nipote Jari Ingarao, il quale, sebbene fosse sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, riusciva a organizzare e coordinare tutte le attivita’, a reperire le sostanze stupefacenti, principalmente dalla Campania, e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere delegando, a seconda dei ruoli, i fratelli Gabriele e Danilo Ingarao che si avvalevano di un gruppo di indagati a cui e’ stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga; gli esponenti della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio intervenivano, in alcuni casi, anche nella gestione e nel controllo dei furti di motocicli e della loro successiva restituzione ai legittimi proprietari, attraverso il cosiddetto metodo del cavallo di ritorno.

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