Il pentito: ‘Fu mio cugino Arcangelo Abete a decidere il duplice omicidio Montanino-Salierno’. IL RACCONTO

“Verso marzo o aprile 2004 ci trovavamo nel nostro quartiere, in via Bakù , quando a mio cugino Arcangelo Abete viene in mente di uccidere Fulvio Montanino. Eravamo presenti io e mio fratello Enzo”. E’ parte del racconto inedito sull’inizio della prima sanguinosa faida di Scampia fatta in aula davanti ai giudice della Seconda sezione della Corte d’Assise d’appello di Napoli, da Gennaro Notturno, o’ sarracino, l’ultimo boss pentito, in ordine di tempo,  degli Scissionisti e i cui racconti dallo scorso anno stanno contribuendo a riscrivere la storia delle tre faide di camorra tra Scampia, Secondigliano e zone limitrofe. Il suo è stato un racconto dettagliato, inedito perchè lo ha visto protagonista di quelle decisioni ma anche di molti agguati. “Abete disse vicino a mio fratello che voleva uccidere Montanino e che quest’omicidio andava fatto insieme agli Abbinante, con i quali abbiamo un vincolo familiare. Mio fratello rispose dunque ‘va bene, parla con uno di loro’. Mio cugino chiese quindi di essere portato al Monte Rosa (fortino del clan Abbinante, ndr), dove poi incontrammo Giovanni Piana. Ci siamo fermati con il ‘mezzo’, ci siamo salutati e mio cugino chiese se poteva parlare con Francesco Abbinante. Trascorsi quattro cinque giorni, Piana venne nel nostro quartiere e disse ‘Angelo, tutto a posto, dobbiamo andare a Marano’. Mi ha fatto prendere il motorino e siamo andati a Marano, a casa di Giuseppe Carputo in cui si trovava Francesco Abbinante. Abete ha quindi parlato della necessità di uccidere Montanino e del fatto che questa cosa doveva rimanere in famiglia, non doveva cioè uscire fuori. Abbinante disse quindi che per loro non c’erano problemi. Il giorno dopo andai a Marano per prendere sia Giuseppe Caputo che Vincenzo Mazzocca, dal momento che loro avrebbero dovuto commettere quest’omicidio insieme ad Arcangelo Abete e a mio fratello Enzo Notturn. Quando sono arrivato entrambi non si erano fatti trovare. Sono tornato a casa e ho parlato con mio cugino e mio fratello. Abete disse ‘Quello se prima non lo dice al padre non si muove’. Secondo mio cugino, Montanino doveva essere ucciso per un fattore di ‘gelosia’, stava ammazzando persone senza un giusto motivo. Abete temeva che potesse essere ucciso anche lui e pure gli Abbinante. Montanino aveva infatti ucciso il loro affiliato Mariano Nocera”.

La decisione finale fu poi ratificata in Tribunale il mese successivo, come riporta Il Roma,  durante una delle udienze del processo a carico del clan di “Ciruzzo ’o milionario”. Arcangelo Abete cercò lo sguardo di “Chiappariello”, il quale si sarebbe limitato a fare un cenno di as-senso con la testa e non, come da lui stesso affermato in seguito al suo pentimento, mimando con il labiale il nome della vittima designata. A rivelare l’inedito retroscena è  stato sempre Gennaro Notturno: “Era il maggio del 2004, andai in Tribunale insieme a mio cugino Arcangelo Abete a Vincenzo Pariante. Siamo andati a questa udienza per far capire a R-sario Pariante (all’epoca già detenuto ma non al 41 bis, ndr) qualcosa in merito alla scissione in atto. Stavamo nell’aula e notai mio cugino, quando salì Rosario Pariante, che si trovava nella gabbia mentre noi eravamo di fronte, che fece il gesto di toccarsi i capelli, cioè il codino, perché Cosimo Di Lauro portava il codino. Fece così il gesto con la mano e Rosario Pariante abbassò la testa come a dire ‘tutto okkay, va bene, va be-ne così’. Si doveva commettere l’omicidio di Fulvio Montanino”, ha spiegato Notturno.

Nel giugno del 2014, Rosario Pariante, il primo dei boss di “Gomorra” a passare dalla parte dello stato, aveva ampiamente riferito proprio in merito all’assassinio del braccio destro di Cosimo Di Lauro. L’ex capoclan secondiglianese, ricostruendo davanti agli inquirenti della Dda quell’incontro a distanza avvenuto in Tribunale a Napoli, affermò che “venne in aula Abete e si trattava di un fatto eccezionale dal momento che lui non si faceva mai vedere in giro. Mi fece capire che c’era tutto un gruppo di affiliati che si sentiva in pericolo rispetto a Paolo Di Lauro e ai figli. Io chiesi da chi venisse questo pericolo e feci segno mimando il gesto del codino per indicare Cosimo. Abete fece quindi cenno di sì. Con la scusa di fumare, io e i tre fratelli Abbinante ci appartammo nel ballatoio che comunica con la gabbia. Eravamo tutti d’accordo a reagire e fui io a dare l’ordine di uccidere mimando con il labiale il nome di battesimo. Dissi Fulvietto”. Oggi ci sarà una delle ultime udienze del processo di Appello per il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno. Il procuratore generale ha chiesto l’assoluzione per i due fratelli Guido e Antonio Abbinante, gli unici tra i 14 imputati a non aver ammesso in aula la loro partecipazione al delitto. Per tutti gli altri  che in primo grado sono stati condannati all’ergastolo (compreso i due Abbinante) la pubblica accusa ha chiesto la riduzione a 30 anni di carcere riconoscendo il fatto che hanno ammesso la loro responsabilità. La sentenza è prevista entro il mese prossimo.

 (nella foto da sinistra in alto Cesare Pagano, Antonio Abbinante, Guido Abbinante, Arcangelo Abete, Gennaro Notturno, in seconda fila da sinistra Carmine Pagano, Ciro Mauriello, Francesco Barone, Antonio Della Corte e Roberto Manganiello)

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