Duplice omicidio: fine pena mai per il boss De Micco e Volpicelli

Fine pena mai per il boss Salvatore De Micco, capo dei famigerati “Bodo” di Ponticelli e per il suo guardaspalle Gennaro Volpicelli. La pesante condanna è arrivata ieri in Corte di Asssie a Napoli dove si è concluso il processo per il duplice omicidio del 29 gennaio del 2013 in cui rimasero uccisi Gen­naro Castaldi (vero obiettivo del raid) e Antonio Minichini (nipote della lady camorra Teresa De Luca Bossa). Sedici anni di carcere invece sono stati inflitti al pentito Domenico Esposito detto o’ cinese. L’omicidio avvenne nel rione Conocal di Ponticelli al centro della faida con i D’Amico “fraulella” al quale le due vittime erano legate. Il processo che si è concluso ieri aveva vissuto lo scorso anno durante la fase dibattimentale un momento perché i difensori dei De Micco avevano presentato in aula una lettera di scuse che il pentito Esposito a aveva scritto a salvatore De Micco, l’altro fratello reggente del clan dei “tatuati”. La lettera conteneva le scuse al boss per averlo tradito. “Mi hanno messo i vermicelli in testa. Dicevano che volevate uccidermi”.  Una lettera che De Micco aveva ricevuto quasi tre anni fa, mentre si trovava detenuto in regime di arresti domiciliari in un comune del Milanese. Gli era stata fatta recapitare da Domenico Esposito  che all’epoca dei fatti era già pentito ed era nascosto in una località protetta. In quella missiva Esposito implo­rava il perdono di De Micco per la sua scelta di rottura e spiegava di essersi gettato tra le braccia dello Stato perché Roberto Boccardi e un altro affiliato al clan gli avevano riferito che i De Micco in­ tendevano ucciderlo. Esposito convinto del fatto che la storia non sarebbe mai venuta fuori, forse convinto del fatto che De Micco avesse bruciato quel pezzo di carta come il mittente aveva racco­mandato di fare, non aveva detto niente. E allora in aula aveva dovuto ammettere: “In quel periodo era sotto protezione in una lo­calità in provincia di Milano. Quando mi arrivò il decreto di citazione per un’udienza in cui c’erano anche i De Micco, lessi che Marco De Micco era ai domiciliari in un paese che stava a pochi chilometri da me. Ho temuto per la mia vita, che mi trovasse e mi uc­cidesse. E così gli ho scritto”. Sarebbe invece bastato informare la Dda della vicinanza pericolosa e chiedere il trasferimento, cosa che Esposito ha successi­vamente fatto. Ma nonostante la difesa del boss nel corso del processo ha cercato i giudici che quella lettera fosse come prova di un forte odio che Esposito nutre per i De Micco. Un odio che avrebbe portato Esposito ad accusare i De Mic­co per reati non commessi, sono arrivate comunque le pesanti condanne.

 

(nella foto da sinistra Salvatore De Micco, Gennaro Volpicelli, Domenico Esposito, Amtonio Minichini, Gennaro Castaldi)

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