Camorra, il clan Fabbrocino non chiede il pizzo ‘Tutti pagano e basta’

Gli affiliati al clan Fabbrocino non avevano bisogno di imporsi, ne’ di minacciare; bastava la loro presenza fisica davanti a un qualunque esercizio commerciale per poter convincere i titolari a pagare il ‘pizzo’. E’ questo lo scenario raccontato dal giudice per le indagini preliminari di Napoli, Emilia Di Palma, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare a carico di 11 affiliati al potente clan che domina dagli anni Ottanta la zona di Ottaviano, localita’ alle falde del Vesuvio. “Le condizioni di assoggettamento e gli atteggiamenti omertosi, indotti nella popolazione, costituiscono piu’ che l’effetto di singoli atti di sopraffazione, la conseguenza del prestigio criminale dell’associazione che, per la sua fama negativa e per la capacita’ di lanciare avvertimenti, anche simbolici ed indiretti, sia accreditata come temibile, effettivo e autorevole centro di potere”, scrive il magistrato per introdurre i tanti episodi di estorsione che hanno caratterizzato nei mesi scorsi la vita di numerosi commercianti. Non solo soldi, nelle ‘canoniche’ rate di Pasqua, Natale e Ferragosto, ma anche regali. Di ogni genere e valore: autovetture, capi di abbigliamento firmati, prodotti alimentari. “In quelle zone si vive in un clima di intimidazione e nella diffusa condizione di omerta'”, aggiunge il gip. Uno dei principali fattori che hanno assicurato la coesione che da sempre caratterizza la cosca e’ stata la capacita’ del sodalizio di assicurare “costante assistenza economica a tutti gli associati e, soprattutto, ai detenuti e alle loro famiglie”. “La ricchezza delle casse del clan, in cui confluiscono non solo i proventi delle attivita’ illecite, ma anche i profitti ormai derivanti dalla conduzione delle attivita’ imprenditoriali intraprese e gestite dal clan con metodi mafiosi, permette, infatti, di scongiurare il pericolo che si vengano a creare condizioni di difficolta’ da cui possano tranne origine spinte centrifughe e consente di rafforzare il vincolo di omerta’ anche nei confronti dei consociati”, si legge ancora nella misura restrittiva. Ecco il motivo, secondo l’interpretazione del gip, per il quale “nessuno dei Fabbrocino ha mai conosciuto il fenomeno della collaborazione con lo Stato. Solo esponenti di sottogruppi o gruppi contigui”.
Il peso specifico a livello criminale al protervia del clan Fabbrocino nell’imporre le proprie decisioni nei comuni vesuviani sono dimostate dalla vicenda che riguarda il caseificio di Ottaviano intestato a un prestanome e che era stato sequestrato nel 2010.A rimettere le mani su quell’attivitá ci aveva pensato Valerio Bifulco, uno degli storici e braccio destro di Mario Fabbrocino, detto o’ gravunaro. L’azienda in questione era ed è tutt’ora un caseificio di Ottaviano, sequestrato nel 2010, nell’ambito di un’altra maxi operazione. La Procura aveva anche nominato un custode giudiziario che però non si era tirato indietro quando Valerio Bifulco aveva deciso di rimettere le mani su quel bene. Anzi. Lo storico affiliato al clan dei Fabbrocino era riuscito a procurarsi le chiavi e svuotare l’immobile portando via beni per un valore di 50mila euro.
GLI INDAGATI

1. Bifulco Valerio, 49 anni di San Giuseppe Vesuviano
2. Maturo Francesco, 48 anni di San Giuseppe Vesuviano
3. Esposito Salvatore 51 anni di Boscoreale
4. Federico Antonio, 44 anni di San Giuseppe Vesuviano
5. Nappo Raffaele, 59 anni di Ottaviano
6. Cardo Aniello, 59 anni di San Giuseppe Vesuviano
7. Ranieri Francesco, 31 anni di San Giuseppe Vesuviano
8. De Liso Giovanni, 38 anni di Somma Vesuviana
9. B.A., 48 anni di San Giuseppe Vesuviano
10. B.A., 41 anni di San Giuseppe Vesuviano
11. E. P., 49 anni di San Giuseppe Vesuviano

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