”È una ‘guardia’, la pistola che ha è finta: uccidilo”, le urla di Monica Amato e il racconto choc del poliziotto aggredito

“È una ‘guardia’, adesso devi ucciderlo. La pistola che ha è finta: uccidilo, devi ucciderlo”. Così ha urlato più volte ai suoi complici Monica Amato, la figlia della donna boss “zia” Rosaria Pagano, reggente della cosca degli scissionisti degli Amato-Pagano.
La 29enne è da ieri agli arresti domiciliari isnieme con altre 4 complici tra cui una ragazza incensurata mentre altri due, tra cui il fidanzato Donato Belardo, sono fintiti in carcere perché accusati di essere gli autori del violento pestaggio del giugno scorso a Mergellina ai danni di un poliziotto e della moglie dopo una lite per motivi di viabilità.
Belardo è finito in carcere insieme con il pregiudicato Maurizio Pomo perché i due avevano una pistola con la quale hanno minacciato il poliziotto ma anche perchè dopo il pestaggio gli ha strappato l’orologio del polso. L’agente di polizia, in servizio alla Squadra Mobile di Napoli, ha ricostruito e messo agli atti il suo racconto che insieme con le immagini del sistema di video sorveglianza pubbico sono servite in pochi mesi a far scattare le manette ai polsi del branco.
“Mentre in due mi aggredivano-ha raccontato- altri colpivano con i loro caschi i vetri posteriori dell’abitacolo, dove erano seduti i miei due figli. L’uomo che mi picchiava aveva volutamente fatto intravedere nella cintola dei pantaloni una pistola di colore nero. Poi,dopo che mi ero qualificato come poliziotto, mi ha detto: Guardia di merda”. La scena si svolge sotto gli occhi terrorizzati dei due ragazzini che hanno appena nove e 12 anni, e della moglie del poliziotto. L’agente estrae la pistola calibro 7,65 per esplodere quattro colpi in aria nel tentativo di difendere la propria famiglia, ecco arrivare un secondo soggetto.
“Era un uomo alto circa un metro e 70, con capelli rasati, barba incolta e tatuaggi sulle braccia,- ha raccontato ancora l’agente di polizia- il quale impugnava una pistola e procedeva nella mia direzione. Continuava a fissarmi e diceva provocatoriamente: Adesso sei solo, fammi vedere che fai, sparami, sparami!. Nonostante le continue percosse alla testa riuscii ad esplodere un secondo colpo in aria. In queste fasi concitate udii una voce femminile che diceva testualmente agli altri componenti del gruppo:
La pistola del guardio è finta!. E mentre mia moglie subiva a sua volta pugni e calci, vidi il primo aggressore che si avventava sull’auto dove c’erano i miei bambini. Colpendo ripetutamente i finestrini sul lato posteriore dell’auto, dov’erano seduti, l’uomo urlava: Ti devo uccidere i figli!. Pur ferito, tentai di reagire, ma a quel punto venni raggiunto da una nuova gragnuola di colpi alla faccia.
In quel momento il mio pensiero era tutto rivolto a mia moglie e ai miei figli. E così esplosi un terzo colpo, sempre in aria. L’azione servì all’effetto desiderato: e solo a quel punto gli aggressori si dileguarono con gli scooter, tranne uno: era alto un metro e settanta e continuava a gridare ai suoi complici: Vai! Ce l’abbiamo, ce l’abbiamo!”.

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