Truffe alle assicurazioni del Nord per finanziare il clan dei Casalesi: cinque arresti

La crisi economica-finanziaria non ha risparmiato la malavita organizzata che per finanziare i clan ha dovuto riorganizzarsi cercando nuove attività: le estorsioni alle imprese edili erano diventate poco redditizie. Sarebbe stato questo, secondo gli inquirenti, uno dei motivi che ha spinto gli affiliati al clan camorrista dei Casalesi presenti in Toscana, a puntare sulle truffe alle compagnie assicurative con falsi incidenti. Il 20% dei risarcimenti finiva direttamente nelle casse del clan, il 30% agli avvocati e il restante 50% veniva diviso tra gli organizzatori, gli ‘attori’ dei sinistri, il medico legale e il carrozziere. Proprio il legame con il clan, e quindi l’aggravante dell’ associazione a delinquere, è la motivazione che ha fatto firmare al gip del tribunale di Firenze Erminia Bagnoli, su richiesta del procuratore Giuseppe Creazzo e del pm della Dda Giulio Monferini, tre ordinanze di custodia cautelare in carcere e due ai domiciliari. Gli indagati, complessivamente, sono 64: tra loro anche due avvocati e un medico, oltre ai titolari di un’altra carrozzeria e a molti degli ‘attori’ che si sono prestati alle truffe. In carcere sono finiti Salvatore Mundo, 47 anni, di Napoli (già detenuto a Parma), Marino Cesario, 47 anni originario di Aversa (Caserta) ma residente a Viareggio (Lucca), e Gianluca De Chiara, 25 anni, anche lui della provincia di Caserta. Ai domiciliari invece sono finiti Aldo Castoro, 74 anni, residente a Massarosa (Lucca) e il figlio, Sandro Castoro, 51 anni, residente a Camaiore. I due sono i titolari di una delle carrozzerie dove, secondo l’accusa, sarebbero state ‘truccate’ e poi aggiustate le auto, quasi sempre intestate ad aziende in modo che non ci fosse aumento nelle tariffe delle assicurazioni. La carrozzeria, tra l’altro, è anche una depositeria giudiziaria (dove cioè vengono parcheggiate le auto sotto sequestro), oltre che fornitore delle forze dell’ordine. Le indagini della squadra mobile di Firenze erano partite dallo stralcio di un’inchiesta della Dda di Napoli culminata con l’esecuzione di 37 misure cautelari eseguite nel febbraio e nel maggio 2014. Importanti anche le dichiarazioni di un pentito, “tutte verificate”. Tra gli indagati risulta esserci anche un agente di polizia penitenziaria che si sarebbe prestato come ‘attore’ per poi ottenere la riparazione gratuita della propria vettura. Nell’ ordinanza, alcune centinaia di pagine, sono riportate le molte intercettazioni realizzate dagli inquirenti dalle quali emerge il linguaggio in codice elaborato per parlare tra loro (i falsi sinistri, erano ‘docce’ o ‘vasche da bagno’, mentre le auto coinvolte erano indicate come ‘pannelli per i box doccia’). In alcuni casi per ottenere il versamento al clan di quanto concordato le persone finite in carcere si sono serviti anche di minacce: “Oggi ti rovino – dice uno degli arrestati a uno degli ‘attori’ -, ti metto le mani addosso”, “se non li porti ti schiatto di mazzate”. E ancora, “allora mo’ buschi, ti metto le mani addosso”.

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