Il boss pentito di Scafati parla della mancata vendetta contro la camorra di Castellammare

Dopo 30 anni Pasquale Loreto avrebbe potuto vendicare la morte del padre Alfonso, ucciso in un agguato di camorra. A rivelarlo il pentito di Scafati che nel 2011 racconta ai magistrati della Dda di Salerno le nuove alleanze tra Scafati e Castellammare di Stabia, grazie all’appoggio della famiglia Ridosso. I Ridosso volevano eliminare Vincenzo Muollo ‘o lallone, anch’egli originario di Castellammare di Stabia, con il quale avevano un conto in sospeso per l’uccisione di Salvatore Ridosso alias piscitiello, ucciso nel 2002. La famiglia Muollo tra l’altro originaria della centralissima via Surripa di Castellammare è stata anche storica nemica del potente clan D’Alessandro. Negli anni Ottanta furono protagonisti di un cruento scontro culminato con la strage di Quisisana nel giugno del 1983 con tre morti e la sparizione di Giuseppe Muollo, alias Peppino ‘o neo fratello di Vincenzo e il cui corpo non è stato mai più ritrovato.
“Quando è uscito Vincenzo Muollo nel 2008 i Ridosso mi chiesero di procedere all’omicidio ma prima ancora mi parlarono di procedere all’omicidio di Muollo Ferdinando che aveva regalato la moto e l’auto Renault a Muollo Luigi e Mansi Valentino (ritenuti i killer di Salvatore Ridosso, ndr). Luigi Ridosso mi chiese appunto di partecipare all’omicidio di Muollo Ferdinando e lui in cambio si offriva di uccidere Polito Luigi responsabile delI’omicidio di mio padre Alfonso avvenuto nel febbraio 1980. Ridosso Luigi fece anche una sorveglianza del Muollo quando usciva di casa e si recava in fabbrica. Ridosso Luigi mi disse che il Polito stava frequentando i figli di tale Alfonso “Pezzangul”che abita alla vecchia uscita dell’autostrada Castellammare di Stabia a Ponte Persica. Luigi Ridosso era amico dei figli di Alfonso di cui non ricordo il cognome. I figli di Alfonso avevano anche un autosalone e Luigi voleva sequestrare il Polito presso il piazzale dell’autosalone. Io pur avendo dato la mia disponibilità prendevo tempo perché non era mia intenzione procedere all’omicidio. Il piano prevedeva che io dovevo agire con una moto guidata da Ridosso Gennaro. Non mi diedero pistole ma so che avevano disponibili molte armi tra cui colt 38, calibro 9,- 7,65, una pistola con silenziatore e una mitraglietta Uzi. Poi non si fece più niente”.

Rosaria Federico

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